Scopriamo insieme la cometa in arrivo nei cieli di maggio.
Comete – χομετες – ovvero “dotato di chioma”.
Almanacco Perpetuo Benincasa (1668):
“Nell’anno 728 in Costantinopoli fu gran pestilenza, che tolse la vita a più di 300.000 persone, e si veddero due gran comete che l’una andava la mattina avanti il Sole, e l’altra lo seguiva la sera, e in Brescia nacque un fanciullo con due denti; nell’anno 984 in Italia fu una gran cometa, e la fame, e peste l’oppressò; e vi levò molta gente; in Fiandra si vide un gran serpente volar per l’aria, e in Genova un cavallo parlò, in Pisa veduti huomini con effigie di cane…”
Le comete in passato sono state considerate portatrici di grandi sventure. Del resto, data la loro relativamente frequente apparizione nei nostri cieli, era piuttosto facile associare l’apparizione di uno di questi “astri chiomati” a un evento infausto, come una guerra, una pestilenza, la morte di un re o di un imperatore. Spesso questi accadimenti venivano “immortalati” in arazzi o dipinti, che sono diventati così preziosi documenti anche dal punto di vista scientifico, in quanto ci hanno permesso di studiare il fenomeno della ciclicità dei passaggi di questi corpi e in alcuni casi, addirittura, identificare il corpo cometario riprodotto.
Celebre per esempio è l’apparizione della cometa del 1066, rappresentata nel famoso Arazzo di Bayeux, che descrive per immagini gli avvenimenti relativi alla conquista normanna dell’Inghilterra; l’apparizione della cometa ha sembrato preannunciare la grande sconfitta del re Aroldo II da parte di Guglielmo il Conquistatore nella battaglia di Hastings.
Ma negli anni le comete hanno anche assunto altri significati, più positivi e consolatori, come per esempio quello associato alla Natività cristiana: un astro luminoso, portatore di un messaggio di speranza, ha guidato i Re Magi a omaggiare la nascita del Redentore, raffigurata da Giotto nel suo affresco “L’adorazione dei Magi” nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
È interessante notare che, in entrambi gli esempi citati, la cometa di cui si parla è la più famosa di tutte, la 1P/Halley: proprio grazie agli studi di cui dicevamo prima, si è compreso che le comete (o almeno alcune) sono corpi che appaiono periodicamente nei nostri cieli perché si muovono su orbite chiuse, e quindi orbitano nel nostro Sistema Solare con periodi di anni (da un minimo di 3.5 a… parecchie migliaia). Lo studio della cometa di Halley e della sua orbita ha permesso di identificare il suo XVIII passaggio (registrato anche in annali cinesi) come quello dell’Arazzo di Bayuex, e il suo XXIII passaggio come quello che affascinò Giotto nel 1301 e lo ispirò per i suoi affreschi. Pensate che il primo passaggio registrato della cometa di Halley (coincidente alla perfezione con l’orbita simulata all’indietro dai computer moderni) fu registrato dagli astronomi cinesi nel 240 a.C.!
L’interesse scientifico per questi corpi celesti è sempre stato ed è tuttora altissimo. Dal momento che trascorrono grandissima parte della loro esistenza nelle regioni più remote del nostro Sistema Solare, nei due serbatoi principali (la fascia di Kuiper, oltre l’orbita di Nettuno, e la nube di Oort, agli estremi confini del nostro sistema planetario), le comete sono considerate tra i corpi più primitivi presenti nel nostro Sistema Solare, pochissimo alterate rispetto alle prime fasi di formazione ed evoluzione del nostro Sistema. Studiarle significa gettare uno sguardo indietro nel tempo, capire i processi che hanno caratterizzato le prime fasi dell’evoluzione planetaria, un argomento estremamente interessante soprattutto in questi anni in cui sempre più numerosi sistemi planetari “esterni” al nostro vengono scoperti nella Galassia, a volte attorno a stelle molto simili al nostro Sole.
Le comete sono considerate fondamentali anche nei processi che hanno portato, nelle prime fasi di formazione del nostro pianeta Terra, all’impiantazione di molecole cruciali perché si creassero le condizioni per l’innesco della vita, così come la intendiamo adesso: innanzitutto l’acqua, solvente essenziale per ogni processo biotico elementare, anche se i meccanismi caratteristici di questo fenomeno non sono ancora del tutto noti (troppe poche comete sono state caratterizzate in questo senso, e la troppa eterogeneità tra le comete stesse lascia ancora aperti molti interrogativi); e poi, come studiato per la prima volta alcuni anni fa (nel 2006) dalla sonda spaziale NASA STARDUST (che ha riportato a terra alcuni grani di polvere della chioma della cometa 81P/Wild 2), perfino molecole complesse come amminoacidi come le ammine, note come precursori di molecole organiche come il DNA.
Oltre alle osservazioni eseguite da terra, che negli ultimi anni si avvalgono di telescopi di nuovissima generazione sempre più grandi per scandagliare dettagli sempre maggiori di un numero sempre più grande di piccoli corpi, grandissimi avanzamenti nello studio delle comete sono arrivati dalle missioni spaziali degli ultimi 30 anni; l’Europa, attraverso la sua agenzia spaziale ESA (European Space Agency) è stata una protagonista di questo spettacolo, prima con la missione GIOTTO proprio alla cometa di Halley nel 1986, e poi con la straordinaria esperienza della missione ROSETTA che nel 2014 ha avvicinato la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko quando era ancora lontana dal Sole e ne ha seguito il percorso all’interno del Sistema Solare, orbitandole attorno e studiando processi che non si erano mai analizzati prima, come l’innesco dell’attività cometaria e la nascita della chioma. Grazie alla sonda ROSETTA e ai suoi risultati eccezionali, siamo stati in grado di capire che l’acqua contenuta nelle comete è diversa dall’una all’altra anche se le comete sembrano in apparenza molto simili, e quindi che il quadro relativo al ruolo che questi corpi hanno giocato nella distribuzione dell’acqua nelle prime fasi del nostro Sistema Solare è ben lontano dall’essere completo; abbiamo imparato che ci sono comete, come la 67P, anche più antiche del Sistema Solare, in cui sono rimasti incorporati frammenti inalterati di una nube interstellare precedente alla formazione della nebulosa che circondava il nostro Sole nascente; abbiamo visto in diretta la cometa espellere frammenti più grossi anche di 1 metro, e ricavato importanti informazioni sulla sua porosità (molto alta) e quindi sulle condizioni iniziali della sua formazione; abbiamo ascoltato il suono della cometa (oscillazioni del campo magnetico nei dintorni della cometa, dovute all’interazione con il vento solare; una volta convertito in frequenze udibili dall’orecchio umano, possiamo ascoltarlo qui:
e dall’analisi dei componenti presenti nella chioma, abbiamo potuto per la prima volta sentire l’odore di una cometa (in effetti, abbastanza puzzolente… dovremmo immaginarci un mix di mandorle, uovo marcio, formaldeide, alcool e stalla!).
Tutte le comete studiate negli ultimi anni da una flotta di missioni spaziali europee e americane, ma anche russe e giapponesi, hanno una caratteristica comune: sono comete di corto periodo (Short Period Comets), una famiglia di oggetti con periodo orbitale che varia (da cometa a cometa) da circa 3 a 200 anni (il che significa che per alcune di esse è possibile osservarle anche più volte nel corso della vita di un astronomo) e hanno origine nella fascia di Kuiper.
Per saperne di più sulla cometa in arrivo, tornate a trovarci per la seconda parte. Stay tuned!
“In INAF-OAR è attivo un gruppo di Planetologia che si occupa di piccoli corpi, composto da Elena Mazzotta Epifani, Elisabetta Dotto, Davide Perna, Simone Ieva. In occasione dell’arrivo della cometa, Elena ci parla un po’ di questi affascinanti corpi celesti”